Perché la psicoterapia non può essere fatta da un’intelligenza artificiale

Sono uno psicologo e psicoterapeuta a orientamento corporeo, e negli anni ho integrato nella mia formazione approcci come la bioenergetica, la biosistemica, la psicologia sensomotoria e l’analisi funzionale. Lavoro quotidianamente con le persone a partire da un assunto semplice: il cambiamento terapeutico avviene nella relazione tra due esseri umani, due corpi, due storie che si incontrano.

Negli ultimi tempi si parla sempre più spesso di strumenti di intelligenza artificiale in ambito psicologico. Alcuni si chiedono se l’IA possa diventare un supporto efficace alla psicoterapia, se non addirittura una sua possibile alternativa. È una domanda legittima, e come professionista sento la responsabilità di offrire alcune riflessioni essenziali, chiare e, a mio avviso, incontrovertibili.

La terapia è relazione incarnata

La psicoterapia non è un insieme di tecniche, né un semplice scambio di informazioni o di consigli. È un processo che avviene nello spazio della relazione tra due soggetti umani. Non è solo ciò che ci diciamo a curare, ma come ci incontriamo: negli sguardi, nei silenzi, nelle attivazioni corporee, nelle pause, nei gesti impercettibili. La presenza dell’altro, in carne e ossa, è il fondamento stesso dell’esperienza trasformativa.

Non si tratta di romanticismo o di attaccamento a vecchi paradigmi. Le neuroscienze interpersonali ci offrono oggi solide basi per comprendere come questo avvenga. Le teorie di Gallese, con il concetto di simulazione incarnata e la scoperta dei neuroni specchio, ci mostrano che il nostro cervello è strutturalmente predisposto a sentire l’altro nel corpo, attraverso un processo implicito e non verbale. È questo tipo di scambio, profondamente umano, che rende possibile il cambiamento.

Un algoritmo non ha corpo

Un’intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, non ha un corpo vivo, né una storia incarnata. Non respira, non suda, non prova emozioni, non si emoziona davanti a me. Può elaborare dati, riconoscere pattern, formulare risposte in apparenza empatiche. Ma tutto questo avviene fuori dalla relazione reale. Può simulare la relazione, ma non può viverla.

E non è un dettaglio: è la sostanza del lavoro terapeutico. Quando un paziente si sente visto, riconosciuto, accolto nella sua esperienza, non è solo grazie alle parole del terapeuta, ma grazie alla qualità della presenza che si costruisce momento per momento. Una qualità fatta anche di errori, riparazioni, attese, sintonizzazioni corporee. L’IA non può sbagliare in modo umano, non può riparare in modo autentico. E quindi non può farci fare esperienza di una relazione che cura.

Un’illusione che può fare danno

Affidarsi a una IA per un “percorso terapeutico” non solo non è sufficiente: rischia di essere dannoso. Perché alimenta l’idea che basti una risposta giusta, una tecnica mirata, una spiegazione convincente per stare meglio. Ma la sofferenza psichica non è un errore da correggere, è una richiesta di incontro. E se questa richiesta trova solo una risposta algoritmica, priva di corpo, di tempo e di umanità, il rischio è quello di rinforzare un senso di solitudine, di inadeguatezza, di disconnessione.

Inoltre, delegare alla macchina una funzione così profondamente umana come quella della cura psicologica rischia di alimentare una cultura della disincarnazione e della ipersemplificazione del disagio. Ma il dolore umano non si semplifica: si ascolta, si attraversa, si condivide.

Non scrivo queste riflessioni per difendere una professione o un ruolo, ma per affermare un principio che per me è fondamentale: la terapia è relazione, ed è una relazione tra due corpi umani. È fatta di presenza, di contatto, di esperienze condivise nel qui e ora.

L’intelligenza artificiale può essere un utile supporto in molti ambiti. Ma non può sostituire la profondità trasformativa di un incontro umano. E soprattutto, non può offrire ciò che più di ogni altra cosa cura: una relazione vera.

edoardo ballanti psicologo senigallia

Contatto fisico in Psicologia: scopi e benefici

Contatto e creazione dell’immagine corporea

Il contatto fisico viene usato in psicologia somatica poiché è mediatore di diversi effetti benefici per l’organismo e per la persona. Migliora le capacità propriocettive e interocettive, portando a una definizione dello schema corporeo e alla creazione di confini sani. La consapevolezza del proprio corpo è migliorata attraverso la stimolazione dei meccanocettori fasciali, che attivano la via spino-talamo-corticale, portando a un maggior contatto con le emozioni e con i sentimenti viscerali. È importante comprendere questa doppia via di comunicazione tra cambiamenti tissutali e sensazioni intero e propriocettive, per poterla utilizzare in terapia. Spesso i pazienti riportano sensazioni riguardanti la percezione del loro corpo, come calore, leggerezza, pesantezza, un aumento nella sensazione di spazio interno, una sensazione di maggiore fluidità, ecc.

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scaleni

Il tocco come forma primaria di relazione

Il perché dell’uso del tocco nella psicologia somatica e nelle psicoterapie corporee

Prima della nascita della psicoanalisi e della psichiatria, il massaggio era compreso tra i metodi di trattamento e cura per chi soffriva di condizioni nervose, e indicato spesso come trattamento da parte dei medici. È in questo tipo di contesto che Freud sviluppa il metodo della psicoanalisi. Sebbene la psicoanalisi sia nota per non toccare i pazienti, ci sono delle eccezioni degne di nota, ed è significativo che, nonostante la credenza diffusa (la regola della neutralità e il divieto di contatto tra analista e analizzato) risulti che lo stesso Freud, e con lui anche Groddeck, ricorressero all’utilizzo del massaggio con alcuni pazienti.

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Depressione come Iper-incarnazione

Durante l’ultimo decennio, il concetto di incarnazione è finito per diventare un paradigma importante in diversi approcci interdisciplinari, dalla filosofia, alla psicologia, psichiatria e neuroscienze. Questo nuovo paradigma è basato sulla convergenza di fenomenologia, scienza cognitiva e teoria dei sistemi dinamici. Il concetto di incarnazione si riferisce non solo all’incorporazione di processi cognitivi nei circuiti cerebrali ma anche all’origine di questi processi nell’esperienza sensomotoria che l’organismo vive in rapporto al suo ambiente immediato. Diversi neuroscienziati hanno sottolineato la stretta connessione tra strutture cerebrali, funzioni del corpo e aspetti della mente come coscienza, cognizione, emozioni e saggezza.

depressione come iperincarnazione

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Concetti Funzionali Energetici di Reich

Tutto Ciò Che Avresti Sempre Voluto Sapere Sui Concetti Energetici Di Reich Ma Non Hai Mai Osato Chiedere

WILL DAVIS

(Il presente articolo è una traduzione dall’inglese di un manoscritto dello stesso Will Davis)

INTRODUZIONE

  Iniziamo dai problemi. In primo luogo Reich ha chiamato il proprio modello della forza creativa, energia orgonica cosmica. Il problema è che l’energia orgonica non segue le leggi di ciò che la fisica chiama energia e, di conseguenza, non può essere considerata un’energia in senso scientifico. Ciò che capisco da Reich è che l’energia orgonica cosmica è un precursore, un substrato, da cui le classiche energie meccaniche della fisica emergono: calore, luce, suono, magnetismo, elettricità. Sono una trasformazione manifesta dell’energia cosmica dell’orgone. Lo stesso è vero per la forza vitale che ha le sue radici nel funzionamento non manifesto dell’energia cosmica dell’orgone. Tutte le energie meccaniche e fisiche sono presenti nei nostri corpi e giocano un ruolo importante nell’informare e formare noi stessi. Questo tema diverrà più chiaro man mano che spiegheremo il funzionamento dell’orgone. Ne faccio cenno ora poiché Reich e altri, incluso me stesso, scambiano di volta in volta l’energia orgonica cosmica, l’orgone, l’energia dell’orgone, la bioenergia, la forza vitale e le energie.

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sintomi somatici di ansia e panico

Il Ruolo dell’Empatia nell’Analisi del Carattere

 

Il lavoro del Reich della prima fase, quella di “Analisi del Carattere”, può essere visto come il prototipo degli approcci confrontativi e attivi nell’analisi delle difese e delle resistenze. Tali approcci sono considerati mancanti di empatia poiché sollecitano la vulnerabilità narcisistica dei pazienti. Kohut si è schierato a sfavore di quello che chiamava il modello della penetrazione dell’inconscio per mezzo del superamento delle resistenze, presentando a sua volta una visione della resistenza come “ valida mossa per mettere in salvo il Sé, per quanto debole e difensiva, contro la distruzione e l’invasione”.

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Il Corpo e il suo Linguaggio

 

Mi piace immaginare il corpo come un paesaggio. Esso manifesta ciò che riguarda la sua storia emozionale e i sentimenti profondi che hanno strutturato il carattere e la personalità. Le posizioni, le proporzioni, il tono, il colore della pelle, il modo di muoversi, le tensioni e la vitalità, rivelano la persona e testimoniano il nostro incedere nella vita e attraverso lo spazio.

Spesso riusciamo a immaginarci il modo di vivere di una persona semplicemente osservando il suo modo di camminare: spalle reclinate, testa curva, torace incavato o espanso, andatura lenta o frenetica, riflettono i sentimenti sottostanti.

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La distorsione della forza vitale

 

Quello che come esseri umani desideriamo maggiormente in uno stato di salute è di sentirci vivi. Il sentimento di essere pienamente vivi si associa alla sensazione di connessione autentica con il nucleo profondo della nostra vitalità, l’Endo-Sè, il nucleo non danneggiato, il “volto originario prima della nascita”.

 

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Regolazione del sé ed emozioni

COME PORTARE LA REGOLAZIONE DEL Sé NELLA PRATICA CLINICA

 

L’auto-regolazione ha a che fare con la regolazione degli affetti, il modo in cui gestiamo le nostre emozioni: come affrontiamo la tristezza, la rabbia, l’eccitazione, le sfide, la paura e la gioia. I segnali della disregolazione emotiva sono legati principalmente all’incapacità di percepire e sentire le nostre emozioni e il nostro corpo. Spesso siamo sopraffatti dalle nostre emozioni, o sentiamo che qualcosa resta sempre irrisolto, compresso o inespresso. La capacità di percepire e gestire le nostre emozioni è essenziale per il nostro benessere: siano esse positive o negative, potenti come la rabbia, o difficili come la tristezza, l’ansia e la depressione. Quando questo non è possibile allora può esserci uno stato di disregolazione.

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La Fascia come organo di senso

fascia tessuto connettivo

Ormai è riconosciuto il fatto che la rete fasciale di  tessuto connettivo è uno dei nostri più ricchi organi sensoriali, se comparata all’innervazione del corrispettivo tessuto muscolare, la parte fasciale è innervata di un numero sei volte maggiore di nervi sensoriali. Per il rapporto sensoriale con il nostro proprio organismo – propriocezione, nocicezione e interocezione viscerale – la fascia rappresenta il principale organo percettivo.

 

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